CREMONINI E LA SOLITUDINE DEI NUMERI DUE

Il nuovo album di Cesare Cremonini, Possibili scenari, a un primo ascolto presenta alcune belle canzoni e due vere perle, vestite eleganti grazie all’orchestra. Non una novità: era già era successo infatti con Amor mio in «La teoria dei colori» (2012); ma in questo caso il riferimento è alle due canzoni di punta dell’album, Poetica (qui il video) e Nessuno vuol essere Robin.

In quest’ultima, Cremonini sfiora il rischio di essere l’ennesimo cantante che affronta il tema dell’assenza di comunicazione nel mondo dei social (vedi qui), ma in realtà ne esce piuttosto bene. L’intuizione che viene dopo, e che dà il titolo al brano, è però ancora più efficace: «Ti sei accorta anche tu, che siamo tutti più soli? Tutti col numero dieci sulla schiena, e poi sbagliamo i rigori! Ti sei accorta anche tu, che in questo mondo di eroi… Nessuno vuole essere Robin…».

È la solitudine dei numeri due. Il «mediano» della canzone di Ligabue si è stufato – non lo saluta nessuno a fine partita – e si crede centravanti, ma i risultati sono poi quelli che sono. In questo mondo di narcisi c’è un gran bisogno di Robin, di mediani, del gregario che porta la borraccia pedalando contro la fatica. Ma in una società – perdonate la becera generalizzazione – che celebra solo i Batman, i goleador e i vincitori del Tour de France, considerando tutti gli altri come poveri falliti, nessuno vuole essere Robin. «Purtroppo – ha detto Cremonini a Repubblica – sembra che siamo costretti a raccontarci come i Batman della situazione, che la sanno lunga, più degli altri. Ma non serve vincere sempre, è meglio perdere e ragionare in prospettiva, l’ammissione di un errore ci apre la strada verso la prossima vittoria». Abbiamo bisogno di Robin, e di uno alla Danny Mellow. A proposito, chi è Danny? Ne avevo parlato in un vecchio numero della rubrica Il calciastorie che tengo sul settimanale Verona Fedele. Lo ripropongo qui.

 

ELOGIO DI DANNY MELLOW

C’è un po’ di Danny Mellow nelle persone di buona volontà. Protagonista, il piccoletto, del cartone animato di “Holly e Benji”. Anzi, protagonista un cavolo, perché è il titolo del cartone a dirti chi conta davvero: Oliver Hutton, quello che segna sempre, e Benji Price, quello che para sempre. I due, primi episodi a parte, giocano nella stessa squadra, tanto per essere sicuri che possano vincere. Se per generazioni di bambini quello è stato ed è un cartone educativo, il merito è anche di Danny. Ma prima di dire perché, andiamo per esclusione. Non può essere dei fratelli Derrick, acrobati del pallone: i loro avversari si arrampicavano sulla traversa per saltare quanto loro. L’effetto emulazione – nei campetti di provincia – ha prodotto traumi al ginocchio e sgridate dei genitori. Le storte alle caviglie, invece, le hanno prese quei baby portieri che cercavano di imitare Ed Warner, il portierone che saltava su un palo per darsi la spinta e lanciarsi dalla parte opposta. Una genialata, nel cartone. Una follia, nella realtà.

Danny è diverso. Non ha nel suo repertorio né “tiri della Tigre” né “catapulte infernali”. Gioca nella squadra rivale di Holly, quindi perderà, lo sa anche lui. Il suo capitano, Mark Lenders, è l’attaccante più irascibile della serie; l’allenatore, Jeff Turner, si presenta scalzo sul campo da gioco, e mai senza un fiasco di vino – di certo non il primo – a portata di mano. Danny si libera degli avversari come birilli, sapendo che è del tutto inutile, perché prima o poi si troverà di fronte a Benji, e dovrà dire addio ai suoi cinque minuti di celebrità. Quando è lui a difendersi da Holly, poi, è ancora peggio, perché verrà ovviamente ingannato da una finta, e non in due secondi, bensì dopo una settimana di flash back del fuoriclasse rivale (che ricorderà, in sequenza: i nonni, la prima volta che ha calciato un pallone, il viaggio in Brasile tanto sognato, la festa della scuola). Danny non è un leader, e neppure lo scarsone che fa ridere i bambini. Così, non sale sul podio né nella classifica del talento, né in quella della simpatia. È uno che insiste, senza alzare mai il dito, senza mai togliere il lambrusco giapponese dalle mani dell’allenatore. Fa quello che può, al servizio della squadra. C’è un po’ di Danny nelle persone di buona volontà.

Verso il tour negli stadi

 

Robin

 

Danny Mellow…

 

… qui un po’ più cresciuto
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