LA CROCE E LO SPOILER

«Ehi, facciamo lo spoiler?». Una battuta fulminante quella di Giovanni, un ragazzo al quale, pochi istanti prima dell’inizio della messa di Natale, cadde l’occhio su un libretto dei canti aperto sull’ “Alleluia pasquale”. «Ehi, facciamo lo spoiler?», disse ai vicini di banco – e uno di questi ero io – come a dire: «Gesù è appena nato, raccontiamo già il finale?». Sapeva di aver fatto una battuta, ma forse non di aver colto nel segno. Lo spoiler infatti è il nemico numero uno per chi vuole sentirsi raccontare una storia, di un libro come di un film: “spoilerare” significa anticiparne i punti salienti, e magari anche il finale. E allora la storia stessa perde gusto: il vicino di seggiola del cinema che sa già le battute a memoria e le anticipa ad alta voce non fa sfoggio di cultura, ma di antipatia.

Non vale così per il Natale, non vale così a maggior ragione per il Venerdì Santo, dove faccia a faccia con la morte abbiamo bisogno di qualcuno che ci spoileri continuamente la Pasqua: “Gesù è risorto”. Ammetto: uno degli ultimi tweet di Papa Francesco mi ha quasi gelato il sangue. «Chi scappa dalla Croce scappa dalla Risurrezione», ha scritto Bergoglio. Sarà perché, leggendo quella frase, la mia attenzione si ferma subito alla parola “croce”. Alla croce che ha portato Gesù, ma anche alle croci che ho visto portare da mio nonno, da un amico più giovane di me, da una zia, da un mio cugino. E magari, da egoista, ho paura che un giorno possa toccare a me, che in genere di croci proprio non ne voglio sapere. Sarà importante per allora avere “spoilerato” per bene, più e più volte: “Gesù è risorto”. Perché la storia è già finita, e finita bene.

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