SPORT, LA BANALE VERITÀ: SONO PIÙ FORTI GLI UOMINI

La fortissima sciatrice Lindsey Vonn ha sfidato gli uomini, chiedendo di competere contro di loro a Lake Louis. Ha alimentato così i sogni di chi vede, in questo e in altri sport, le donne più forti degli uomini. Più che di sogni, però, bisognerebbe parlare di vere e proprie illusioni. Sky Sport in un articolo si chiede: «La sfida tra donne e uomini nello sport può essere davvero alla pari?». Per dimostrare che non sia proprio un’utopia, rimanda a un match non proprio recentissimo (1973) tra la numero uno del tennis Billie Jean King e Bobby Riggs. Davanti a diverse milioni di telespettatori americani, spiega la giornalista, fu lei – l’atleta 29enne – a vincere. Nell’articolo non viene invece riferita l’età di lui all’epoca della sfida: 55 anni.

Lindsey Vonn

Vogliamo illuderci che negli sport di fatica le donne siano di livelli superiore? Facciamolo. Lo fa Panorama, secondo cui – citando uno studio francese – le donne sarebbero «più forti e resistenti». Poi vai a leggere i record mondiali della maratona e scopri che il tempo maschile è più basso di oltre 12 minuti rispetto a quello femminile (circa 4 chilometri di distacco!). E certo, è stato poco carino John McEnroe affermando che se Serena Williams giocasse tra gli uomini non entrerebbe nei 700 più forti del mondo. Manca la controprova e McEnroe può anche avere esagerato, ma l’ex numero uno del circuito Wta, per quanto sia una grande campionessa, non potrebbe mai essere al livello di un Federer o un Nadal. Stesso discorso per la pallavolo (in campo femminile, la rete è più bassa di una ventina di centimetri) e per il calcio: l’eventuale parità di genere quanto a stipendi, anche qualora dovesse essere messa in atto – ma non lo sarà – non toglie nulla al fatto che una squadra di serie C batterebbe una qualsiasi selezione femminile.
Non è questione di essere o meno maschilisti, ma di vedere la realtà per quella che è. Si può dare spazio in un titolo – come fa l’Huffington Post – a una donna che «batte gli uomini in Superbike», lasciando intendere che abbia sconfitto i vari Rea e Melandri. Il trionfo – che c’è stato – è avvenuto nella Supersport 300, che fa parte del calendario Superbike ma è evidentemente una categoria minore.

Serena Williams

La realtà è quella che abbiamo sotto gli occhi o quella che ci fa piacere vedere? Sembra di essere tornati ad appena due anni fa, quando molti giornali (come Lettera43) scrissero che «gli atleti disabili vanno più forte dei normodotati». Nel caso specifico, non si trattava di un titolo un po’ forzato, ma del cuore dell’articolo stesso: Abdellatif Baka, giovane algerino ipovedente, «ha conquistato un oro alle Paralimpiadi di Rio 2016, ma correndo così forte sarebbe stato il primo anche alle Olimpiadi di un mese prima», scrisse convinto il giornalista. Si basò sui dati, certo: 1500 metri corsi in 3’48’’29 contro i 3’50’’00 che regalarono l’oro olimpico a Matthew Centrowitz. In tutto questo, non si tenne conto di una cosa non proprio marginale: una gara può essere più o meno tattica, gli atleti possono essere attendisti o giocarsi da subito le proprie carte. La finale olimpica fu lenta, al contrario delle batterie dove non si qualificarono atleti che avevano corso i 1500 metri in 3’40’’, otto secondi più veloci del pur ottimo Baka. Per fare un esempio: Santino Kenyi, atleta del Sud Sudan, con 3’45’’27 arrivò 12esimo nella sua batteria e non vide la semifinale olimpica neppure col binocolo.

È sotto gli occhi di tutti che, nella vita di tutti i giorni, le donne hanno una marcia in più degli uomini (ma anche due o tre). E che – per saltare di palo in frasca – la forza di atleti disabili abbia dell’incredibile: le imprese di Alex Zanardi e di tanti altri sportivi paralimpici hanno molto da insegnare a chi deve rialzarsi da piccole o grandi cadute.

Sono bellissime favole che meritano di essere conosciute. Ecco, il punto è questo: raccontiamo le belle favole. E non alimentiamo le bugie.

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