Domenica 1 ottobre. Alle 10 di mattina via Andrea Costa è ancora deserta. Tra sette ore Papa Francesco sarà qui, allo stadio di Bologna. La sua giornata in Emilia-Romagna (1 ottobre 2017) è però già iniziata con l’arrivo a Cesena. Col pass giallo arrivo facile in regia. Mi aspetta Giuseppe Panebianco, siciliano salito al nord oltre un decennio fa. È un montatore video: so già che è in gamba, ma saprà comunque sorprendermi per la sua rapidità d’esecuzione. Il compito suo – anzi, nostro: ma il lavoro serio lo fa tutto lui – è infatti semplice ma non banale: dalle immagini in diretta del Centro Televisivo Vaticano dovremo montare un paio di video su due momenti della visita “bolognese” del Papa: all’Hub di via Matteotti – una ex caserma oggi luogo d’accoglienza di tanti richiedenti asilo – e in piazza Maggiore. I due filmati verranno proiettati sui maxischermo dello stadio alle 14.30. Quali immagini scegliere e quali eliminare? I nostri tempi sono stretti, quelli di Francesco si dilatano invece nei saluti ai migranti, che durano tre quarti d’ora o giù di lì. Una ragazza gli mette al polso un braccialetto («Giuseppe, salvami questo momento»), un giovane intona un canto della sua terra («Giuseppe, anche questo, grazie»).
Colpisce – non in positivo, ammetto – che al passaggio del Papa le due ali di folla si girino dall’altra parte. Non per disinteresse, ovvio, ma per fare un selfie. L’effetto è quasi comico: tutti – tutti! – guardano Francesco solo attraverso lo schermo dello smartphone, anche se lui è lì, a pochi centimetri. Persino l’imperturbabile Giuseppe inizia a sbuffare: «Abbracciatelo, stringetegli la mano, tanto c’è già chi vi filma! Poi vengo io a portarvi il video». Niente da fare: poi però penso che se il Papa fosse qui una foto con lui vorrei farmela anch’io, e mi calmo un poco. «Molti non vi conoscono e hanno paura – dice Bergoglio –. In voi vedo, come in ogni forestiero che bussa alla nostra porta, Gesù Cristo, che si identifica con lo straniero, di ogni epoca e condizione, accolto o rifiutato». Gli applausi più rumorosi arrivano però verso la fine del discorso, quando Francesco accenna alle richieste di documenti che ha letto nei cartelli. In effetti è così: sono quasi tutti del tipo «Papa Francesco abbiamo bisogno dei documenti». Al punto che quell’applauso un po’ gela il sangue: non è che qualcuno avrà davvero pensato di essere stato messo in regola, grazie all’arrivo dell’uomo più potente del mondo? L’affetto nei confronti di Bergoglio non è però un’illusione.
La scaletta non ammette (troppi) ritardi. In piazza Maggiore il Papa parla al mondo del lavoro: «È necessario togliere centralità alla legge del profitto e assegnarla alla persona e al bene comune. Ma perché tale centralità sia reale, effettiva e non solo proclamata a parole, bisogna aumentare le opportunità di lavoro dignitoso». Chissà se a qualcuno fischiano le orecchie lì sotto il palco, tra imprenditori e sindacalisti. A proposito: le poche immagini dall’alto tradiscono quello che non avremmo voluto vedere. E cioè che di gente ce n’è, ma non è proprio il pubblico delle grandi occasioni. “Colpa” dello stesso Bergoglio, che in poche ore ha attraversato tutta la città: oltre all’hub di via Mattei e a piazza Maggiore, anche San Petronio (per un pranzo con i poveri, che qualche rancoroso ha voluto far passare per “profanazione” della basilica), la Cattedrale per parlare a sacerdoti e religiosi, piazza San Domenico nell’appuntamento dedicato al mondo universitario e – per concludere – la lunga messa allo stadio Dall’Ara. Aggiungendo i due momenti della tappa cesenate (piazza del Popolo e cattedrale) e i vari spostamenti, compreso andata e ritorno da Roma, è un programma generoso ma stancante. Tanti gli appelli: agli studenti («Sognate in grande! Sogno anch’io, ma non solo mentre dormo, perché i sogni veri si fanno ad occhi aperti e si portano avanti alla luce del sole»), ai sacerdoti (che se non sentono l’appartenenza alla diocesi diventano «un po’ innervositi per non dire nevrotici, e così un po’ “zitelloni” »), e a tutti affinché si metta in circolo la carità (“Che strana la matematica di Dio: si moltiplica solo se si divide!”). La pioggia non riesce a guastare la festa allo stadio – quello sì, pienissimo – dove il Papa arriva per celebrare la messa. Non è il solo a essere affaticato: c’è chi è arrivato da fuori regione, chi mesi fa ha dato la sua disponibilità a fare il volontario e ora ha a malapena il tempo per mangiare un panino al volo. I 400 coristi, dopo mesi di prove, attendono al freddo l’arrivo di Francesco. Anche io, Giuseppe e i suoi colleghi di Eurovideo – a filmati già chiusi e proiettati sul maxischermo –siamo un po’ cotti, ma almeno al coperto. Nel corridoio è tutto un andirivieni di vescovi, uomini della sicurezza e volontari che corrono a portare gli ombrelli con lo stemma del Vaticano ai sacerdoti non riparati dal tetto della tribuna. L’abbraccio di Bologna a Bergoglio dura diverse ore, ma quando lui riparte per l’eliporto verrebbe da dire: “Come, di già?”. In questo stadio, dove la massima esultanza degli ultimi 50 anni è stata per una promozione in serie A, sentiamo una gioia diversa e certamente più forte. La messa è finita, in via Andrea Costa stavolta cammina un fiume di persone. Molte di loro ci metteranno un’ora per raggiungere il pullman. Ci arriveranno comunque felici.
Articolo pubblicato sul settimanale Verona Fedele