FARE POLITICA CON SETTE CANZONI

Nel mio intervento alla scuola di formazione politica organizzata dalla rivista “Il Regno” a Camaldoli (vai all’articolo), ho proposto il mio manifesto politico in sette canzoni.

1) “Nessuno vuol essere Robin” (Cesare Cremonini)

“Ti sei accorta anche tu che siamo tutti più soli? Tutti col numero dieci sulla schiena, e poi sbagliamo i rigori. Ti sei accorta anche tu, che in questo mondo di eroi nessuno vuole essere Robin”. L’idea di servizio, di non mettersi al centro, non essere i Batman della situazione.
Ci starebbe, in questo senso, anche “Come mi pare” del trio Fabi-Silvestri-Gazzè: “Chi vuole scrivere impari prima leggere/ Chi vuol suonare prima deve imparare ad ascoltare/ Chi vuole ridere impari prima a piangere/ Chi vuol capire prima deve riuscire a domandare”. Potremmo aggiungere: chi vuole fare politica abbia lo sguardo rivolto agli altri e non piegato su se stesso.

2) “Non ho che te” (Luciano Ligabue)

Una delle poche canzoni (se si esclude l’album “Made in Italy”) nelle quali Ligabue si mette nei panni di un altro. Di un operaio che ha perso il suo lavoro – quindi una canzone molto figlia di questi tempi – e che, davanti a un futuro che si fa più oscuro, si rivolge alla persona amata: “Non ho che te/ Che cosa ho fatto per meritare tanto?”. La gratitudine come valore. Da mettere anche in politica, perché no? Le istituzioni dovrebbero essere grate alle famiglie con figli, e invece a malapena calano dall’alto quei pochi spicci che bastano a malapena per comprare qualche confezione di pannolini.

3) “Dio è morto” (Nomadi/Guccini)

Una canzone molto politica e contro “una politica che è solo far carriera” (i tempi non sono cambiati molto, dal ‘67 ad oggi) e che però termina con una speranza, a una rivolta senza armi. Perché “se Dio muore è per tre giorni e poi risorge”.

4) “Mi fido di te” (Jovanotti)

Qui la parola chiave è più scontata, ed è fiducia. Nel video c’è una catena di atti di fiducia, che si interrompe quando un senzatetto non riceve fiducia, perché nessuno accetta il suo straccio, e allora entra in una chiesa e lo avvolge attorno a un crocifisso. Nel finale c’è anche un riferimento alla nonviolenza, a mio parere un po’ più scontato con la bimba che dà la pistola a Jovanotti, il quale la butta nel fiume. Ad ogni modo “mi fido di te, cosa sei disposto a perdere?”.
Chi dice sempre solo i miei confini, il mio territorio, e dunque non è disposto a perdere, a condividere, non si fida. Ma senza fiducia, per tornare alla canzone di prima, non c’è speranza. In questi ultimi anni ci vogliono mettere in testa una balla colossale, ossia che avere fiducia significhi essere ingenui. Non è così.

 

5) “Gli autobus di notte” (Luca Carboni)

Suggestivo, a mio parere, l’accostamento degli anziani con dei vecchi autobus scassati. “Non ti è capitato mai di provare rispetto per i vecchi motori che non vorrebbero tradirci mai. E di sorridere un po’ per quei vecchi motori che non vorrebbero lasciarci. Che hanno paura e sono ingombranti come i nonni e le vecchie zie. Questi vecchi motori come tutti quanti non vorrebbero mai morire”. Prendersi cura di chi è più fragile, in questo caso gli anziani ma evidentemente non solo loro. Una sfida sempre più difficile, visto il progressivo innalzamento dell’età media a causa della denatalità.

6) “Lo scrutatore non votante” (Samuele Bersani)

La partecipazione (citare “La libertà” di Gaber sarebbe stato troppo scontato). Lo scrutatore non votante, “indifferente alla politica”, “prepara un viaggio ma non parte, pulisce casa ma non ospita […] poteva essere farfalla ed è rimasto una crisalide”. Lamentarsi, o prendere atto in modo passivo di quello che accade, è il modo migliore per far stare peggio tutti.

7) “Il povero Cristo” (Vinicio Capossela)

Sull’essere cristiani in politica. Il povero Cristo è sceso dalla croce e cosa nota? Che qualcuno vede “nel suo simile il primo da affogare se appena è un po’ più debole”. E mentre “nel mondo una guerra è signora della Terra”, lui stesso è tirato a sinistra e a destra. Tutti lo vogliono primo nella loro lista, “ma piuttosto che da vivo a dare il buon ufficio è meglio averlo zitto e morto in sacrificio”. Su cosa fa poi il Cristo della canzone non anticipo, ma segnalo la dedica del video a Riace (dove il video è stato girato), così come parla, eccome se parla, quell’immagine di una croce sopra una bagnarola alla deriva. Capossela mi fa pensare a chi fa del cristianesimo un elemento squisitamente identitario e di divisione tra noi e loro (magari sventolando rosari e giurando su bibbie), e dall’altra parte la possibilità di una coerenza tra i valori professati e quelli vissuti, perché no, anche nell’ambito sociale, politico.

 

 

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